Il futuro delle piccole aziende calzaturiere: tra sfide, opportunità e Made in Italy

Enrico Ciccola, cofondatore di Calzaturificio Romit – realtà nata nel 1978 a Montegranaro, cuore pulsante del distretto calzaturiero marchigiano – è una figura di riferimento nel panorama associativo italiano. All’interno di Assocalzaturifici, Ciccola si distingue per il suo impegno nella tutela e nella promozione delle piccole e medie imprese del comparto, facendosi portavoce dei valori della tradizione artigianale e del Made in Italy. Abbiamo avuto l’opportunità di incontrarlo per approfondire le sue riflessioni sul presente e sul futuro del settore.

Cosa vi distingue dalle produzioni dei grandi marchi del settore? “La nostra realtà aziendale si discosta significativamente dai modelli di produzione su larga scala, tipici dei colossi del settore calzaturiero. Non disponiamo di una struttura tecnica e commerciale comparabile a quella dei grandi marchi, che possono contare su reti organizzate e fabbriche strutturate. La nostra produzione, al contrario, si articola in volumi più contenuti, spesso destinati alla creazione di calzature a marchio proprio, espressione di un’artigianalità autenticamente italiana. Nonostante le dimensioni ridotte, ci impegniamo a realizzare calzature che incarnino l’eccellenza del “Made in Italy”, nel pieno rispetto delle normative vigenti in materia di sostenibilità, tracciabilità e passaporto digitale del prodotto. Tale impegno si traduce in un’attenzione scrupolosa alla selezione dei materiali, all’adozione di processi produttivi eco-compatibili e alla garanzia di una filiera trasparente e responsabile.

Come stanno cambiando le richieste dei grandi brand del lusso nei confronti dei fornitori?

“Le dinamiche del mercato globale, in particolare nel settore del lusso, impongono standard di trasparenza sempre più stringenti. I grandi marchi del lusso, con la loro attenzione scrupolosa alla reputazione e alla responsabilità sociale, richiedono ai propri fornitori una conoscenza approfondita e dettagliata di ogni fase della filiera produttiva, con un’enfasi particolare sulla sostenibilità e la tracciabilità. Tale esigenza si traduce spesso in controlli diretti e accurati presso i fornitori più consolidati, volti a verificare la conformità agli standard etici e ambientali. Di conseguenza, anche le piccole e medie imprese, pur non disponendo delle stesse risorse e infrastrutture dei grandi marchi, si trovano nella condizione di dover adeguare i propri processi produttivi e gestionali a tali requisiti. L’alternativa, purtroppo, è l’esclusione dal mercato e la perdita di opportunità commerciali. Questa situazione, che accomuna tutte le realtà imprenditoriali del settore, crea un’atmosfera di attesa e incertezza, in attesa di un nuovo equilibrio che possa portare maggiore chiarezza e stabilità.”

Nel suo ruolo in Assocalzaturifici, quali sono le principali sfide che state affrontando?

“Con grande entusiasmo, partecipo attivamente alle discussioni in seno ad Assocalzaturifici, volte a delineare un futuro positivo per il nostro settore. Credo fermamente che, attraverso una collaborazione sinergica e l’analisi approfondita delle dinamiche di mercato, possiamo identificare nuove opportunità di crescita e consolidare la posizione delle nostre aziende a livello globale. Sono convinto che, unendo le forze e condividendo le nostre competenze, possiamo trasformare le sfide attuali in trampolini di lancio per il successo. La ricchezza di esperienza e la passione che animano le nostre imprese rappresentano un patrimonio inestimabile, che possiamo valorizzare attraverso strategie innovative e mirate.”

Qual è la sua visione sul futuro della produzione calzaturiera italiana?

Non condivido le visioni pessimistiche. La produzione italiana di calzature rappresenta una quota minima di quella mondiale, ma può ancora essere valorizzata. Se non troviamo il modo di far crescere questo segmento, rischiamo di perdere anche le opportunità occupazionali che ancora esistono, grazie ai distretti produttivi che resistono nelle nostre zone e che non sfruttiamo abbastanza. Nella mia azienda vedo un futuro positivo: le competenze e le professionalità che abbiamo mantenuto sono un valore aggiunto, apprezzato dai grandi marchi del lusso e da chi cerca collezioni di qualità. Il vero problema è la mancanza di una visione collettiva e condivisa di sviluppo. La globalizzazione, così come l’abbiamo vissuta, ha portato molte aziende a delocalizzare per risparmiare sui costi della manodopera, ma questo ha impoverito il mercato interno ed europeo, riducendo la capacità di spesa e creando nuove difficoltà.”

Quali strategie suggerisce per rilanciare il settore?

“In un’epoca di mutevole dinamismo economico, anche le nazioni che hanno tradizionalmente poggiato la propria prosperità sulle solide basi dell’export, come la Germania e l’Italia, si trovano a dover fronteggiare le insidie di un mercato interno che accusa segni di debolezza. Tale scenario impone una riflessione approfondita sulle strategie da adottare per riequilibrare le dinamiche economiche, rafforzando la resilienza dei mercati nazionali. In tale contesto, diviene imperativo che le istituzioni politiche e le associazioni imprenditoriali intraprendano un percorso di collaborazione sinergica, al fine di delineare una strategia economica chiara e ampiamente condivisa. Tale strategia dovrebbe mirare a stimolare la domanda interna, sostenendo al contempo le esportazioni. Le crescenti esigenze dei marchi globali in materia di tracciabilità e sostenibilità, lungi dall’essere percepite come mere restrizioni, possono essere interpretate come un’opportunità propizia per rivitalizzare e valorizzare il marchio “Made in Italy”. La reputazione di eccellenza, artigianalità e qualità che contraddistingue i prodotti italiani può trarre giovamento da un’enfasi rinnovata su questi valori, che rispondono in modo efficace alle richieste di un mercato sempre più attento e consapevole.”

Come possono le piccole e medie aziende affrontare i mercati internazionali?

“Per assicurare un orizzonte di prosperità alle piccole e medie imprese del settore calzaturiero, si rende imprescindibile la loro capacità di espandersi verso nuovi mercati e di incrementare i volumi produttivi. In tale ottica, l’idea di una permanenza prolungata e strategicamente comunicata nella città di Milano, epicentro nevralgico della moda e del design, si rivela di fondamentale importanza. Un’iniziativa di questo tipo, che trascenda la semplice partecipazione alle fiere di settore, offrirebbe alle aziende l’opportunità di instaurare un dialogo continuativo con una clientela eterogenea proveniente da ogni angolo del globo.”

Il costo del lavoro è spesso citato come un ostacolo. Qual è la sua posizione?

Un’analisi approfondita del settore calzaturiero italiano evidenzia una criticità significativa rappresentata dalla notevole variabilità del costo del lavoro tra le diverse regioni del Paese. Tale disparità genera squilibri competitivi e ostacola la creazione di un ambiente uniforme e favorevole allo sviluppo delle imprese. Tuttavia, con un approccio incentrato su qualità e eccellenza, è imperativo superare la visione riduttiva della manodopera come mero costo da comprimere, abbracciando una prospettiva che valorizzi il capitale umano come risorsa strategica.” www.romit.it

Enrico Ciccola