Dotz Bellezza sostenibile

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Dotz, brand di calzature brasiliano, promuove un ecosistema di business alternativo dove la scarpa è un’opera d’arte a più mani realizzata nel rispetto del valore etico della qualità

Collegare persone e idee per creare opportunità. Credere in un modo differente di fare business. Rodrigo Doxandabarat, imprenditore argentino, definisce il progetto Linking DOTZ un’avventura non solo personale che ha dato vita a un prodotto in equilibrio tra estetica e sostenibilità. Fondamentale per il successo dell’iniziativa anche il contributo dei soci Anderson Presoto, Alvaro Oviedo e Juan Coates.

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L’imprenditore argentino Rodrigo Doxandabarat

Rodrigo Doxandabarat, come nasce il progetto Linking DOTZ? Il progetto nasce a coronamento di un percorso di vita personale ma anche dei diversi partner e collaboratori coinvolti, prende vita dal desiderio, dal sogno di realizzare un ecosistema di business alternativo, un’interazione viva e condivisa dove i quattro pilastri della sostenibilità, collaborazione, cooperazione e gestione si incontrano (da qui il termine Linking) in un punto di equilibrio per creare nuove occasioni e scenari da esplorare.

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Qual è la motivazione alla base della sua scelta di dedicarsi alla produzione di calzature? L’idea imprenditoriale è un compendio delle mie precedenti esperienze nella cooperazione e nella moda. Un viaggio dalla Spagna alla Cina alla ricerca di me stesso quando ero molto giovane, l’incontro in India con Madre Teresa di Calcutta nel 1977, la partecipazione a progetti di cooperazione finanziati dal brand tedesco Strenesse (in Iraq durante la seconda guerra del Golfo nel 2003 e poi nelle favelas argentine), la collaborazione con diverse Ong francesi e italiane. E poi il lavoro da modello e ruoli di direzione commerciale e retail da Armani e Dolce&Gabbana. A un certo punto è arrivato il momento di connettere i punti (da qui il nome del progetto Linking DOTZ), di realizzare qualcosa che fosse allineato coi miei interessi nella cooperazione, nella sostenibilità, nella moda: la scarpa mi dava la possibilità di lavorare con le mani, di intraprendere un’attività artigianale che si contrapponesse alla mia vita sempre di corsa. Mi attirava il mestiere di calzolaio, i suoi attrezzi. Ho studiato per diventare modellista di calzature. La scarpa tuttavia non costituiva l’obiettivo finale, ma il canale per trasmettere la visione e la realizzazione del progetto.

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Ci parli dei pilastri di questo progetto. Abbiamo avviato una produzione di scarpe sostenibili che utilizza, per la tomaia, cotone agro-ecologico privo di sostanze tossiche proveniente da fonti 100% sostenibili, coltivato in fattorie familiari e lavorato secondo una procedura molto complessa in diverse zone del Brasile. Curiamo l’intera filiera, dalla coltivazione del seme alla sua separazione dalla fibra (sgranatura), dalla filatura alla tessitura in collaborazione con agricoltori, membri di cooperative e manodopera locale che fanno parte dell’ecosistema. Suole, fussbett e packaging (scatole ed etichette) vengono realizzati riciclando il cotone residuo, scarti di gomma e rifiuti solidi domestici, come rasoi e spazzolini da denti. Le fasi di cucitura e montaggio coinvolgono alcune donne brasiliane disagiate a cui abbiamo insegnato il mestiere in collaborazione con il Comune di San Paolo del Brasile. Tre i modelli (alpargata, loafer e slipper) proposti per una calzatura unisex che non si affida al limite della stagionalità, ma scommette su capsule personalizzate da singoli artisti e altri brand. La tomaia infatti è una “tela” dove artisti e designer europei e sudamericani sono stati chiamati a esprimere la propria creatività. Ogni talento può partecipare al progetto di crowdsourcing, guadagnando delle royalty per ogni paio di scarpe vendute con la propria stampa.

Il progetto è stato avviato quattro anni fa e presentato al Pitti lo scorso giugno. Quali sono i riscontri ottenuti? La grande sfida è la produzione sociale e che tutti gli stakeholder appartenenti all’ecosistema siano in grado di accompagnare la crescita del progetto in modo da trarne ciascuno un beneficio. Oggi, dopo quattro anni di duro lavoro, il progetto è più strutturato, il prodotto più definito. Siamo presenti alle più importanti fiere di moda – Pitti, Who’s Next, TheOneMilano, Premiere Classe -, vendiamo nei migliori negozi (i modelli sono disponibili anche sulla piattaforma online) in Brasile, Argentina, Francia, Spagna, Belgio, Turchia, Italia, Canada e Stati Uniti. C’è utopia, c’è filosofia dietro le scelte attuate, ma il primo aspetto che sottolineo quando mi invitano nelle università a presentare Linking DOTZ è che si tratta innanzitutto di un business. Affinché un progetto sia sostenibile e l’ecosistema funzioni, sia il sourcing sia la commercializzazione devono trovare un equilibrio. Sostenibilità e redditività possono lavorare di pari passo. Investire in metodi di produzione sostenibili non deve rappresentare un danno per il profitto. Ecco perché crediamo che all’interno dell’ecosistema anche la componente estetica sia molto importante. L’idea non è quella di vendere la sostenibilità o il veganismo, ma un prodotto innanzitutto meraviglioso, dal twist un po’ brasiliano, a un prezzo giusto. Con tutto quello che poi viene dietro. www.linkingdotz.com