Intervista a Mariano Roberto Mecenero, Presidente dell’Associazione Italiana dei Chimici del Cuoio: “Alcune nostre aziende, dopo un periodo di fermo produttivo imposto, hanno ricevuto la richiesta dai macelli di ritirare le pelli fresche per non interrompere la filiera della catena alimentare”
Mariano Roberto Mecenero, presidente di AICC
“In un periodo drammatico e complicato a causa del coronavirus è emersa l’importanza del settore conciario, grande esempio di economia circolare fin dall’antichità e in questi mesi fondamentale per garantire la continuità della filiera alimentare”. A parlare è Mariano Roberto Mecenero, Presidente dal febbraio 2019 dell’Associazione Italiana dei Chimici del Cuoio (AICC), l’importante associazione di categoria (di cui è componente del Consiglio Direttivo dal 2012) che conta quasi 600 iscritti, attesi in questo periodo in una difficile ripartenza e con futuro da decifrare. Nato a Gallio (Vicenza) e residente a Chiampo, classe 1952, laureato in Chimica all’Università di Ferrara, Mecenero lavora nel settore conciario dal 1976 ed è attualmente socio della Conceria Dani spa, colosso conciario con sede in Arzignano, uno dei distretti più importanti al mondo, dove si occupa di ricerca ed è Responsabile dei settori acquisti prodotti chimici e controllo materiali e terzisti. Nella prima decade di aprile, quando il Covid-19 stava tenendo sotto scacco buona parte del pianeta, il Presidente Mecenero, ha scritto una lettera agli associati, pubblicata nella home page del sito dell’AICC. “Credo che in ognuno di noi – le sue parole – ci fosse il timore che, prima o poi, anche la nostra Italia e l’Europa potessero essere coinvolte in qualche guerra: militare o finanziaria, colpita da bombe atomiche o da tracolli economici pilotati da strategie finanziarie nemiche. Ma mai avremmo pensato che un semplice virus potesse mettere in ginocchio mezzo mondo, sperando che l’altro mezzo non riceva lo stesso trattamento in un momento successivo. Ne abbiamo viste tante, ma questa ancora ci mancava: essere costretti a casa, per difenderci e per proteggerci da tutti, anche dal respiro dei nostri cari. Un grande esempio è arrivato da medici ed infermieri in primis ma anche da tutte le persone che si sono prodigate e sacrificate nelle varie situazioni con un servizio spesso eroico che dovrà essere da stimolo a far sì che ognuno di noi, nel suo specifico ambito, dia il massimo per fare la propria parte per far risorgere la nostra Italia da questa drammatica situazione che ci ha travolto”.
Dottor Mecenero, durante la fase più critica del Covid-19 i macelli hanno chiesto aiuto nel conferire pelli alle concerie della valle del Chiampo, che hanno lavorato il grezzo, stabilizzandolo per non farlo andare in putrefazione. Alla fine si può dire che si è trattato di un grande esempio di professionalità? Ritengo proprio di sì. Il settore conciario è stato rispettoso del provvedimento di fermo industriale imposto dal Governo. Di fatto tutte le nostre aziende si sono fermate al 24 marzo, per alcune settimane. Dopo di che abbiamo iniziato a ricevere pressioni da parte dei macelli a noi collegati, che segnalavano che le celle frigorifere, dove conservano per un breve periodo le pelli fresche, erano stipate. Per non bloccare la filiera alimentare avevano necessità che le concerie le ritirassero, pena il far nascere un problema igienico-sanitario all’interno dei macelli. Abbiamo girato questa pressante richiesta al Prefetto della nostra provincia: in tal modo abbiamo portato le pelli in una fase intermedia, tale da evitare che le pelli andassero in putrefazione. Pertanto, il riavvio della produzione conciaria si è resa necessaria per non interrompere la catena alimentare, che avrebbe creato problemi di approvvigionamento a macellerie, supermercati e negozi. In concreto, solo grazie al circolo virtuoso delle concerie, le bistecche e la carne hanno continuato ad arrivare tutti i giorni nei piatti degli italiani.
In piena emergenza sanitaria l’importanza del mondo conciario è stata dunque fondamentale … Quanto avvenuto è davanti agli occhi di tutti. In particolare, è emerso un aspetto ben noto a chi opera nel settore: uno scarto, un rifiuto della catena alimentare che andrebbe di per sé in putrefazione, creando perciò gravi problemi igienico sanitari, viene recuperato dalle nostre industrie conciarie che sono in grado di farlo diventare un prodotto di eccellenza per produrre scarpe, borse, cinture, salotti, automobili, aerei, selle da biciclette o da cavallo, tutti manufatti di altissima qualità. L’attività delle concerie riguarda anche i sottoprodotti dell’industria conciaria, attraverso i quali si ricavano fertilizzanti, concimi fogliari, biostimolanti vegetali e tanti altri i prodotti utili per l’agricoltura e per i terreni dove gli animali trovano di che alimentarsi. Non credo ci sia un altro esempio altrettanto importante ed intelligente di economia circolare e di riciclo agro-industriale. Tutto ciò, anche se perfezionato recentemente, è peraltro esistente da millenni: anche gli uomini primitivi usavano le pelli degli animali per coprirsi o costruirsi le calzature o le tende dove abitavano.
Come avete vissuto l’allarme Covid-19 alla Conceria Dani di Arzignano? In maniera rispettosa e costruttiva, pur nella difficoltà dell’emergenza. In azienda siamo 650 dipendenti e non abbiamo registrato nessun caso di positività al virus, anche per il fatto che sin dall’inizio abbiamo attuato stretti controlli. L’attività è ripresa con un numero ridotto di addetti, circa una quindicina, per il motivo prima accennato, ed ora stiamo facendo rientrare gradualmente gli altri nostri collaboratori. Adesso che il picco sembra ormai alle spalle, possiamo dire che la nostra vallata è stata colpita solo marginalmente: a fine aprile si erano registrati solo un paio di decessi nella zona di Arzignano. Per fortuna qui non abbiamo vissuto il dramma di altre province italiane.
In questo periodo si parla molto di protocolli di sicurezza all’interno delle realtà economiche che dovranno essere rispettate anche in futuro … Per le aziende conciarie e chimiche ritengo non ci saranno grossi problemi, sia per quanto riguarda l’utilizzo degli ausili che le distanze obbligatorie, procedure che utilizziamo da tempo. Penso ad esempio a quanto serve per proteggere viso e mani: tute, guanti e maschere rappresentano dispositivi già utilizzati da molti degli addetti del settore della concia. Ora abbiamo anche la misurazione della temperatura corporea in entrata e la gestione del lavoro mantenendo le dovute distanze.
Come vede il futuro nei prossimi mesi per il comparto conciario e chimico? Secondo gli economisti questa crisi condizionerà pesantemente gli anni a venire: credo che su questo siamo tutti d’accordo. I maggiori timori riguardano lo sviluppo che avrà il coronavirus in Italia e nel resto del mondo: al momento è impossibile sapere quali saranno gli sviluppi già a partire dalla seconda parte dell’anno. Molte delle nostre aziende conciarie dipendono dal mondo della moda, dell’arredo e dell’auto, quindi bisognerà capire come questi settori sapranno riprendersi a livello mondiale. Tutto sarà legato alla ripresa del mercato ma anche alla velocità di reazione delle industrie, una qualità che in questi anni ha portato le aziende italiane a diventare reattive nella diversificazione dei prodotti ma anche nel mantenere alto il livello della qualità della pelle prodotta.
Lei è fiducioso sulla ripresa delle aziende del settore pelle? Per natura sono sempre positivo e voglio esserlo anche in un momento così critico. Ovviamente, adesso la situazione è diventata molto più complicata proprio per le dinamiche che non dipendono solo dal mercato, ma anche dalle capacità finanziarie delle aziende e dal fatto che in altre nazioni l’attività conciaria non è stata soggetta alla chiusura, così come è stata invece imposta in Italia. È uno scenario difficile da interpretare, ma sono convinto sarà fondamentale il rapporto che ogni industria vanta con i propri clienti fidelizzati, con i quali trovare la soluzione migliore per ripartire. Molte delle nostre attività medio-piccole sono a regime familiare, siamo abituati a lavorare in fabbrica, di certo non ci spaventa saltare le prossime ferie estive o lavorare per più delle classiche ore giornaliere. Siamo allenati alle sfide e decisi a riprenderci quanto il coronavirus ci ha tolto.
Con l’emergenza sanitaria cosa cambia nel programma che lei aveva annunciato dopo l’elezione alla presidenza dell’Associazione Italiana dei Chimici del Cuoio? Dovremo verificare come organizzare futuri incontri, corsi, seminari e convegni in base alle nuove normative. Rimangono tre le linee guida principali. In primis cercheremo di rafforzare il dialogo tra i vari distretti conciari italiani per stimolare una maggiore collaborazione. In secondo luogo, in continuità con il passato, lavoreremo sul tema della formazione e dell’aggiornamento dei nostri soci per favorire la crescita della cultura conciaria nel nostro settore, dando supporto ai tecnici attraverso l’organizzazione di eventi e corsi sugli argomenti più stringenti ed attuali. Come terzo punto puntiamo a consolidare e rafforzare i legami e le collaborazioni con le altre associazioni della filiera, tra cui Unic, Assomac, Unpac e Federchimica, Stazione Sperimentale Pelli, ma anche Scuole ed Università.
Nel concreto come intendete favorire l’unione, all’insegna del made in Italy, dei tre distretti di Arzignano, Santa Croce sull’Arno e Solofra? A questi tre, aggiungerei anche quello presente in Lombardia e Piemonte, magari meno famoso e conosciuto degli altri ma vanta sicuramente peculiarità importanti. L’obiettivo, come detto, è fare squadra. Può sembrare un paradosso ma proprio in questi mesi vissuti tra i divieti di spostamento legati al Covid-19 ci siamo ulteriormente compattati: prima le riunioni si svolgevano fisicamente nei singoli distretti, mentre durante l’emergenza sanitaria, anche grazie alle nuove tecnologie, come collegamenti Skype e videoconferenze, abbiamo potuto confrontarci con ogni parte d’Italia. Magari trasformando qualche convegno che si svolgeva in ambito locale, in conseguenza di questa pandemia, potrebbe ora essere svolto su piattaforme web che coinvolgerebbero tutta l’Italia: potrebbe essere la nuova strada per uscirne e ripartire più uniti e più forti. Ci stiamo lavorando con il Consiglio Direttivo Nazionale e non solo su questo tema.
Il futuro della concia è legato al rispetto dell’ambiente: l’AICC, che rappresenta le massime professionalità e l’innovazione della chimica del cuoio, che iniziative porterà avanti? È chiaro a tutti che la sostenibilità rappresenta una strada obbligata, non solo limitata alla qualità della pelle prodotta ma anche ai luoghi di lavoro ed al territorio in cui viviamo: in tal senso l’industria conciaria ha fatto tanti passi in avanti, importantissimi, negli ultimi decenni a livello di salubrità in tutti i Distretti italiani. Noi come tecnici di conceria faremo la nostra parte per continuare a migliorare i nostri processi produttivi onde renderli sempre più compatibili e rispettosi dell’ambiente, supportati dai nostri colleghi che lavorano nelle aziende dove si producono i prodotti chimici per le concerie.
L’obiettivo principale qual è? Quello di spingere ulteriormente sul fronte della ricerca e dell’innovazione per arrivare ad una produzione conciaria sempre più pulita, dove anche i sottoprodotti possano avere sempre più un valore ed essere riutilizzati in un’ottica di economia circolare. Per supportare il mondo dell’alta moda ed i brand del lusso, siamo tenuti ad offrire al mercato ottime pelli realizzate con processi di lavorazione sempre meno impattanti ed utilizzando prodotti chimici sempre più sicuri. Abbiamo fatto molto negli ultimi decenni ma faremo ancora di più nel prossimo futuro. Se mi è consentita la battuta, mi sento di giurarlo sulla nostra … pelle. www.aicc.it