
Mario Fulvio De Maio, titolare della conceria DMD Solofra, presidente della sezione concia di Confindustria Avellino
L’obiettivo del distretto di Solofra è mettere a punto nuove tecniche ecologiche per la concia. All’indomani della pandemia anche la filiera della pelle è destinata a trasformarsi.
Specializzato nella concia di pelli ovo-caprine, il polo conciario di Solofra si estende su un territorio di circa 115 chilometri quadrati a sud-ovest della provincia di Avellino. Oltre al Comune da cui prende il nome, fanno parte del distretto Montoro Inferiore, Montoro Superiore e Serino. Composto da 150 concerie che occupano 2.000 addetti, Il distretto di Solofra genera un fatturato annuo di 500 milioni di euro, di cui oltre il 75% destinato all’export (dati Unic). Sinonimo di garanzia e qualità nella filiera internazionale dell’area pelle, le aziende del territorio operano con successo sul mercato nazionale, europeo, dell’Estremo Oriente e degli Stati Uniti, rifornendo i brand globali della moda e del lusso. Mario Fulvio De Maio, titolare della conceria DMD Solofra, presidente della sezione concia di Confindustria Avellino e new entry nel CdA della Stazione sperimentale per l’industria delle pelli e delle materie concianti, delinea gli obiettivi del comparto solofrano finalizzati a perfezionare nuove forme di concia ecologica.
Mario Fulvio De Maio, lei guida la rappresentanza delle aziende conciarie del polo di Solofra. Quali sono le nuove sfide che la realtà produttiva del distretto deve affrontare per poter recuperare quote di mercato? Se la domanda mi fosse stata posta prima del lockdown, la risposta sarebbe stata un po’ più facile. A fine febbraio avevamo tutti le idee molto più chiare. Eravamo entusiasti di aver presentato a Lineapelle collezioni molto futuriste di pelli conciate con nuove tecnologie nel rispetto della sostenibilità e dell’ambiente, caratterizzate dallo stesso look di un pellame tradizionale. L’obiettivo da perseguire è quello di tutelare la salute collettiva e fornire un prodotto sempre più innovativo, e le conce che noi definiamo “bianche”, in quanto cromo free o metal free, rappresentano la nuova scommessa per un futuro più pulito. Ma oggi, a pochi mesi dalla conclusione della fiera e dall’inizio della pandemia di Coronavirus, il futuro non ha certezze.
I grandi brand del lusso dettano legge in materia di ecosostenibilità. Qual è lo stato dell’arte della ricerca nel processo produttivo delle aziende del polo, finalizzata a guidare il settore verso un futuro di lavorazioni a basso impatto ambientale?
I prodotti che venivano realizzati a Solofra alcuni anni fa sono oggi copiati tali e quali con costi molto più bassi in India, in Pakistan, in Cina. Per costruire il futuro del comparto (facendo ancora riferimento a una situazione pre-crisi da Covid-19) dobbiamo investire in collezioni sempre più innovative dando ben più ampio rispetto all’ambiente. Ricerca e innovazione sono le parole chiave su cui scommettere. Abbiamo avviato tre contratti di ricerca, uno con l’Università di Salerno, uno con la Stazione sperimentale di Pozzuoli e uno con entrambe le istituzioni per poter mettere a punto nuove tecniche ecologiche per la concia. I nostri obiettivi sono molteplici: ridurre il consumo di acqua (un bene che sarà sempre più carente negli anni) e di prodotti chimici, puntare sul risparmio energetico. Migliorare alcune caratteristiche dei pellami, come per esempio l’elasticità. Occorre agire più velocemente delle multinazionali per non rischiare di dipendere dai loro brevetti ed evitare speculazioni. Dobbiamo essere noi gli autori del nostro destino e gli strumenti sul territorio non mancano per dare un nuovo volto all’industria conciaria locale: brillanti ricercatori, ottimi laboratori, una squadra fantastica.
Cosa occorre oggi al distretto di Solofra per fare la differenza sui mercati internazionali?
Siamo partiti con l’idea di ritrovarci il giorno dopo Lineapelle per mettere a punto misure di ampio respiro. Dopo questo tempo sospeso, ancora “sonnacchiosi” abbiamo organizzato un meeting tra i vari rappresentanti del distretto per capire quale direzione intraprendere. Sappiamo che i nostri committenti registreranno un calo di produzione e di fatturato di oltre il 35% che si ripercuoterà a monte della filiera. Abbiamo individuato alcune possibili modalità di intervento: allargare il portafoglio clienti, puntare ancora di più sull’innovazione, modificare le strategie di vendita. In previsione di un annullamento delle fiere di settembre dobbiamo essere pronti a trasformare il nostro modus operandi, per esempio inviando direttamente alla clientela i campioni per la nuova stagione, pubblicando il catalogo dei prodotti sulle piattaforme e-commerce. Certo, la pelle ha bisogno di quel contatto diretto che gli strumenti digitali non possono offrire, ma non potremo tornare ai modi di fare pre-epidemia molto rapidamente. C’è da aspettarsi che tale esperienza lasci un solco profondo nella vita privata e in quella professionale, che non si colmerà in qualche mese ma in anni.
Quali ruoli devono rivestire rispettivamente aziende e istituzioni nel proiettare il comparto verso un orizzonte di crescita, internazionalizzazione e competitività?
Gli strumenti ci sarebbero, le agevolazioni per la promozione e l’internazionalizzazione esistono e sono sempre esistite, ma in questo momento il governo, complice l’Europa, si è tirato indietro, sta facendo solo assistenzialismo e non pensa alle aziende. Bisogna rimettere in moto le imprese, la gente deve guadagnare col lavoro e spendere grazie al lavoro. Reddito di cittadinanza, reddito di emergenza, cassa integrazione. Aspettare ogni mese che arrivi il sostentamento governativo stando a casa è un errore grave. Si stima che 270 mila aziende non riapriranno, un numero impressionante che avrà una ricaduta su ognuno di noi. Dobbiamo tenere alta l’attenzione (sui fidi, sui destinatari delle merci ecc.) per non farci fagocitare da un mercato debole e da un sistema che non funziona. Stiamo subendo, senza aiuti, la perdita di quote di mercato, i costi della cassa integrazione ordinaria, quelli per i protocolli sanitari e in questo caso non si tratta solo della spesa per i dispositivi di sicurezza, ma anche di un inevitabile calo della produttività dei dipendenti costretti a lavorare con guanti e mascherina nei mesi più caldi. A ciò si aggiunge la richiesta generalizzata di sconti: la caduta della domanda ha innescato la svalutazione dei magazzini. Ci metterei la firma se solo si riuscisse a pareggiare il bilancio, senza utili ma senza perdite.
Nel 2019 è stato siglato un Memorandum di amicizia e di cooperazione tra la città cinese di Shenzhen e il comparto delle imprese della filiera pelle della regione Campania per lo sviluppo in particolare del settore calzature in cuoio e accessori di Cina e Italia. Alla luce della pandemia, quali difficoltà sta incontrando l’impegno a definire modalità e occasioni di collaborazione per promuovere l’innovazione e lo sviluppo del distretto di Solofra e dell’intera realtà campana?
Sono stato tra i fautori di questo incontro. Lo scorso dicembre durante la nostra visita in Cina con il direttore generale della Stazione sperimentale, Edoardo Imperiale, abbiamo creato i presupposti per favorire gli investimenti cinesi in Italia. I cinesi hanno fame dei nostri prodotti e la sinergia tra l’estro, la creatività, la passione made in Italy e la loro eccezionale manualità è possibile. Si tratta di un progetto molto ambizioso, ma da imprenditori con i piedi per terra. Siamo fiduciosi da entrambe le parti di poter riprendere il discorso che la pandemia ha interrotto, dobbiamo solo attendere che si ripristino le condizioni ante Covid-19. www.confindustria.av.it – www.ssip.it